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Lo Squalo ha 50 anni, il docu che lo racconta
Wendy Benchley: 'Quel film ha cambiato la percezione del mare'
(di Lucia Magi) Decine di titoli provvisori, un candidato alla regia che insisteva nel parlare di "una grande balena", lo squalo meccanico che si inceppava paralizzando il set, cento giorni di straordinari e milioni di dollari fuori budget. Dietro la macchina da presa, un ragazzo di 27 anni cocciuto ma quasi alle prime armi, divorato dalla paura di non lavorare mai più. Sono solo alcuni dei retroscena raccontati da 'Jaws @ 50: The Definitive Inside Story', il folgorante documentario diretto da Laurent Bouzereau, che National Geographic rende disponibile su Disney+ dall'11 luglio per il cinquantesimo compleanno di 'Lo Squalo'. Con materiali d'archivio, interviste inedite e testimonianze d'epoca, il film ripercorre la genesi caotica e rivoluzionaria del primo vero blockbuster della storia del cinema. Steven Spielberg appare giovane e scapigliato nei filmati di backstage. "Un attore venne a dirmi che tutti pensavano che non sarei riuscito a chiudere il film e che non avrei mai più lavorato. È stato un colpo basso", racconta oggi, con barba e capelli candidi e decine di successi alle spalle. Lo stress accumulato era tale che, anche dopo il trionfo in sala, "continuai per mesi a nascondermi nella barca conservata agli Universal Studios per piangere a lungo". Le voci di cineasti come Peter Cameron, J.J. Abrams, Jordan Peele, Guillermo del Toro e George Lucas si alternano a quelle d'archivio del pubblico all'uscita dal cinema. "Mi ha cambiato la vita", confessa il creatore di 'Lost'. "È il film più spaventoso che abbia mai visto", dice un ragazzo con basette e occhiali a goccia. Prima del film, 'Lo Squalo' era un romanzo - opzionato subito dai lungimiranti produttori Richard D. Zanuck e David Brown. Il suo autore, "l'uomo che terrorizzò il mondo", si chiamava Peter Benchley. Insieme alla moglie Wendy contribuì alla creazione del classico di Spielberg. Lui è scomparso nel 2006; lei, ambientalista, politica e subacquea, porta avanti la loro missione di proteggere l'oceano e le sue creature, anche attraverso una fondazione. "Peter scriveva discorsi per il presidente Johnson fino a quando si ritirò nel 1968. Fu allora che decise di scrivere un romanzo", racconta Benchley in una conversazione con l'ANSA. "Aveva due idee: una sui pirati moderni, l'altra su uno squalo bianco. Gli dissi: 'Caro, non mi sembrano granché'. Per fortuna la casa editrice Doubleday si innamorò di quella che chiamavano the fish book". Anche il titolo fu un'odissea: "Avevamo decine di fogli pieni di proposte. Jaws (che in inglese significa 'fauci') non entusiasmava nessuno, ma fu scelto come il meno peggio". Spielberg ricorda di aver visto il manoscritto sulla scrivania dei produttori con cui stava ultimando 'Duel': "Pensai: Jaws? Cos'è, un manuale di odontoiatria?". Una volta letto, lottò per farsi assegnare il progetto, per girare in mare aperto e per costruire uno squalo meccanico - salvo poi realizzare le scene più terrificanti senza bisogno di inquadrarlo. "Il romanzo parla sì di uno squalo, ma soprattutto di come una comunità affronta una minaccia incontrollabile. Io e Peter passavamo le estati a Nantucket, e lui ha riempito il libro delle storie delle persone che vedevamo lì. Spielberg ha fatto un lavoro straordinario coinvolgendo gli abitanti di Martha's Vineyard: se non ci fossero loro, non importerebbe a nessuno se una bestia li divora. È grazie a quelle facce e quelle vite che il film ha profondità e umanità, e resiste da cinquant'anni". Dopo l'uscita, mentre Spielberg affrontava quella che lui stesso definisce una "sindrome post-traumatica", i coniugi Benchley erano preoccupati per un altro effetto collaterale: "Dopo il film, molti si sentirono in diritto di uccidere squali. Fu orribile. Da allora ci impegnammo per educare il pubblico: 'Lo Squalo' ha avuto il merito di suscitare l'interesse per gli abissi e di far partire la ricerca marina. Nel 1975, le iscrizioni a biologia marina aumentarono del 30%". Questo cinquantesimo cade alla vigilia di una cruciale conferenza dell'ONU. "Confido- dice Wendy Benchley - che il clamore che ancora circonda il film aiuti a prendere decisioni giuste e durature per il futuro del nostro oceano".
A.Motta--PC
